Categoria: scienza

L’INGV per la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza 2021

MILANO – Anche quest’anno l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) celebra la Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza istituita dall’ONU e nata per riconoscere il ruolo fondamentale che le donne e le ragazze svolgono nella scienza e nella tecnologia.

Per la promozione della Giornata, gli eventi dell’INGV – tutti online – sono:14 ricercatrici dell’Istituto raccontano la loro storia di donne scienziate e le attività in cui sono impegnate. 

L’INGV per la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza 2021

Altri racconti di scienziate INGV sono contenuti nell’evento del Center of Excellence in Solid Earth (ChEESE) per oggi ’11 febbraio.

Gaia, una giovane geologa, racconta la sua passione per la scienza e ci narra la vita e le scoperte di alcune donne che hanno fatto la storia nelle Scienze della Terra.

La storia di Gaia

L’evento on-line “Anche la cancellazione è violenza: storie di donne di Scienza” per valorizzare il contributo che le donne hanno dato alla disciplina delle Scienze della Terra, raccogliendo in una mostra una serie di biografie femminili cancellate dai libri di scuola, contro gli stereotipi creati da una passata cultura sociale.  

L’evento qui -> Anche la cancellazione è violenza: storie di donne di Scienza

Hanno partecipato alla creazione degli eventi dell’INGV le sedi di:

BOLOGNA
CATANIA, Osservatorio Etneo

MILANO
NAPOLI, Osservatorio Vesuviano

PISA
PORTOVENERE ROMA

Il veloce viaggio del Polo Nord magnetico verso la Siberia misurato con i satelliti europei Swarm

ROMA – Confermata la corsa del polo magnetico nord verso la Siberia attraverso le osservazioni dei
satelliti europei Swarm. Lo studio dell’INGV, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista
americana Journal of Geophysical Research, ne illustra i particolari

“I tre satelliti Swarm”, afferma Domenico Di Mauro, ricercatore dell’INGV e autore dello
studio, “sin dal loro lancio nel 2013, compiono orbite quasi polari in circa 95 minuti. In 24
ore effettuano 15 giri intorno alla sfera terrestre raccogliendo, così, informazioni sulla
morfologia e sulla intensità del campo magnetico con strumenti di altissima precisione e
restituendo misure con una risoluzione ed una copertura spazio-temporale mai raggiunte
prima. Un’opportunità che noi ricercatori dell’INGV operanti nell’ambito del geomagnetismo
non potevamo farci sfuggire: abbiamo così determinato, aggiornandola, la posizione dei poli
magnetici come se la misura fosse raccolta a terra. Per far ciò, abbiamo messo a punto
procedure ed algoritmi per proiettare i dati raccolti in quota sulla superficie terrestre,
un’analisi realizzata per la prima volta nell’era dell’esplorazione del nostro pianeta dallo
Spazio”.

“I risultati”, aggiunge Mauro Regi, ricercatore dell’INGV e primo autore dello studio, “in
accordo con l’attuale 13esima generazione del modello internazionale di riferimento del
campo geomagnetico (IGRF), hanno la prerogativa di restituire un’informazione immediata
e diretta da osservazioni sperimentali. Entrambi i poli magnetici si muovono in direzione
nord-ovest ma mentre il polo nord si muove alla velocità di circa 37-72 km all’anno (con una
lieve diminuzione nell’anno 2016), la velocità del polo sud è di circa 5-9 km all’anno. Dalle
nostre analisi, quindi, il polo nord magnetico ha abbandonato i territori settentrionali del
Canada e si dirige verso la Siberia, mentre il polo sud magnetico si muove più lentamente
verso l’oceano aperto, dal settore antartico che ospita la stazione francese Dumont
D’Urville”.

INGV : Augusto Neri eletto Fellow dell’American Geophysical Union

ROMA – Il Direttore del Dipartimento Vulcani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), Augusto Neri, è stato nominato membro della 2020 Class of Fellows dell’American Geophysical Union (AGU). Il riconoscimento è stato assegnato durante la Conferenza annuale (online).

L’AGU è una delle principali organizzazioni di studiosi delle geoscienze e conta oltre 62.000 membri di 144 nazioni.

La prestigiosa nomina viene assegnata per contributi scientifici eccezionali nelle Scienze della Terra e dello Spazio realizzati attraverso scoperte o innovazioni nelle proprie discipline. Dal 1962, meno dello 0,1% dei membri dell’AGU sono entrati a far parte di questo rinomato gruppo.

Ad Augusto Neri è stato anche assegnato il 2020 Gilbert F. White Distinguished Award and Lecture da parte della Sezione Rischi Naturali della stessa AGU. Augusto Neri ha concentrato la sua attività di ricerca nello sviluppo e applicazione di modelli fisico-matematici dei processi vulcanici, con particolare attenzione alla dinamica delle eruzioni esplosive.

I fenomeni maggiormente studiati sono stati colonne e getti vulcanichi, flussi piroclastici, blast, eruzioni Vulcaniane, dispersione di ceneri e risalita del magma nei condotti vulcanici. Insieme ai suoi collaboratori, Augusto Neri ha inoltre sviluppato modelli quantitativi che sono stati applicati alla stima della pericolosità di vulcani attivi sia italiani (Vesuvio, Campi Flegrei, Etna, Stromboli) sia esteri (Mt.St.Helens, Soufriére Hills Montserrat, La Soufriére di Guadeloupe, Eyjafjallajokull, Santorini, ecc.), nonché utilizzati per la stima dell’impatto dei fenomeni vulcanici a supporto delle azioni di mitigazione del rischio.

Laureato in Ingegneria chimica all’Università di Pisa, ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Illinois Institute of Technology di Chicago. Dopo aver svolto studi presso l’Istituto Nazionale di Geofisica, l’Università di Pisa, e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), è stato Primo Ricercatore al CNR di Pisa e dal 2003 è Dirigente di Ricerca in Fisica del vulcanismo presso l’INGV.

Maggiori informazioni sono disponibili ai seguenti link: https://eos.org/agu-news/2020-class-of-agu-fellows-announced https://eos.org/agu-news/2020-agu-section-awardees-and-named-lecturers?utm_source=eos&utm_medium=email&utm_term=sections&utm_campaign=093020

New Space Economy, l’INGV partecipa alla nuova edizione dell’Expo-Forum Europeo – Un appuntamento digitale per parlare di New Space Economy: l’INGV partecipa alla nuova edizione del Forum Europeo con uno stand virtuale per illustrare i suoi principali settori di attività basati sull’analisi dei dati spaziali

ROMA – Anche quest’anno l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia partecipa, l’11 e 12 dicembre 2020, all’Expo-Forum Europeo sulla New Space Economy (NSE). Questa seconda edizione sarà interamente digitale e l’INGV è rappresentato da uno stand virtuale per illustrare i suoi principali settori di attività basati sull’analisi dei dati spaziali integrati con le misure effettuate da sistemi a terra, permettendo di fare ricerca di avanguardia su temi legati a terremoti, vulcani e ambiente. La registrazione è gratuita.

Il pubblico potrà seguire seminari e scaricare materiale informativo: presso il “Virtual Booth” il personale dell’Istituto illustrerà le principali attività di ricerca e servizio basate sulle analisi dei dati spaziali in cui è coinvolto

L’INGV presenta le attività raggruppate in cinque settori strategici:

Galileo, che tramite dei dati di navigazione e posizionamento satellitare consente all’Istituto di fornire dati e servizi per scopi di geodesia, studio e monitoraggio del territorio, posizionamento di precisione e per la mitigazione degli effetti della meteorologia spaziale, in particolare per l’aviazione civile;

COPERNICUS, programma di Osservazione della Terra finanziato dalla Commissione Europea per generare prodotti usati per monitorare e conoscere meglio i fenomeni naturali del nostro Pianeta;

missioni satellitari, tra cui la missione spaziale iperspettrale ASI-PRISMA, per le quali l’INGV lavora allo sviluppo di sensori di prossima generazione per l’Osservazione della Terra;

supporto ai servizi e dati spaziali mediante lo sviluppo e il mantenimento di reti di monitoraggio su scala regionale, in Italia e nel Mediterraneo, e su scala globale in grado di fornire in tempo reale parametri e osservazioni geofisiche necessari per la validazione dei dati spaziali;

sviluppo di start-up e tecnologie innovative, come lo spin-off SpacEarth Technology, che, nel tempo, ha portato a vari brevetti nell’ambito delle applicazioni spaziali, mostrando le potenziali applicazioni nell’aviazione, nell’agricoltura di precisione, nella navigazione marittima e nelle telecomunicazioni.

L’Expo-Forum è organizzato dalla Fondazione Amaldi e da Fiera Roma in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).

Programma dei seminari INGV

Flyers divulgativi sulle attività dell’INGV

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2024: ci sarà un terremoto di magnitudo 6 a Parkfield in California?

PARKFIELDUno studio congiunto del Cnr-Iac e dell’Ingv prevede un possibile terremoto di magnitudo 6 tra poco più di tre anni presso la cittadina di Parkfield in California, grazie all’analisi dell’evoluzione dell’attività sismica di un segmento della faglia di San Andreas. La metodologia proposta ha permesso di prevedere (retrospettivamente) con accuratezza il tempo di occorrenza del terremoto avvenuto nel sito nel 2004. La predittività del metodo esposto nello studio diventa sempre maggiore all’avvicinarsi del momento in cui accadrà il terremoto di cui si sta tentando di prevedere il tempo di occorrenza

La collaborazione scientifica tra l’Istituto per le applicazioni del calcolo “Mauro Picone” del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iac) e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), tramite rispettivamente i ricercatori Giovanni Sebastiani e Luca Malagnini, ha permesso di realizzare uno studio, pubblicato su Journal of Ecology & Natural Resources, che prevede nel 2024 un terremoto di magnitudo circa 6 presso la cittadina di Parkfield, situata lungo la faglia di San Andreas in California. In questo luogo, dal 1857 al 1966, sono avvenuti sei terremoti di magnitudo 6, ad intervalli di tempo quasi regolari, da 12 a 32 anni, con una media di circa 22 anni. Dal 1985 i geologi americani hanno installato nella zona una rete di strumenti molto avanzata, allo scopo di rilevare cosa accade prima di un evento sismico, al fine di prevedere futuri terremoti.

“Lo studio corrente ha riguardato l’evoluzione quotidiana negli ultimi cinquant’anni del baricentro dell’attività sismica presso Parkfield, all’interno del segmento della faglia di San Andreas responsabile della sismicità sopra descritta. In particolare, ci si è concentrati sulla quantificazione della variazione della posizione di tale baricentro, calcolata in un intervallo temporale di 150 giorni”, spiega Sebastiani del Cnr-Iac. “Muovendo questo intervallo nel tempo, di giorno in giorno, otteniamo una curva che descrive l’andamento della misura di tale variazione nel tempo. Il principio alla base della scelta di questa variabile è che un sistema instabile, in condizioni quasi critiche, mentre viene spinto fuori dal suo equilibrio cerca di riconfigurarsi in una condizione pseudo-stabile, e così facendo mostra una anormale variabilità nel tempo dei parametri che lo descrivono”.

La curva descritta mostra un andamento oscillante, con ampiezza dapprima crescente e poi decrescente, verso lo zero. “Ciclicamente, l’attività sismica sul segmento di faglia analizzato si disperde e si concentra, con un periodo di circa 3 anni, probabilmente legato al ciclo climatico siccità/piovosità”, chiarisce Malagnini dell’Ingv. “L’ampiezza spaziale entro la quale è possibile la dispersione della sismicità, inoltre, dapprima cresce in modo lineare, raggiunge un valore massimo e quindi decresce linearmente verso un valore minimo. Dal nostro studio si evince che il ciclo sismico è interamente contenuto entro il ciclo di crescita e decrescita appena descritto.

Analizzando i dati come se fossero raccolti in tempo reale, e fermandosi a cento giorni prima dell’ultimo terremoto del 2004, la metodologia ha permesso una esatta previsione retrospettiva del giorno del terremoto: 28 settembre 2004. Inoltre, l’analisi ha permesso di capire come l’ultimo evento importante di Parkfield, previsto erroneamente dagli scienziati dell’università di Berkeley nel periodo 1985-1993, sia invece avvenuto nel 2004: la causa del ritardo è una perturbazione meccanica subita dalla faglia di San Andreas, dovuta a un altro terremoto di magnitudo superiore a 6 accaduto su una faglia vicina, a Coalinga, nel 1983”.

La metodologia sviluppata da Sebastiani e Malagnini prevede che il prossimo terremoto di magnitudo 6 avverrà nel 2024 entro il segmento di Parkfield della faglia di San Andreas. I due ricercatori hanno mostrato che l’accuratezza predittiva del loro metodo diventa sempre maggiore mano a mano che ci si avvicina al momento in cui accadrà il terremoto di cui si sta tentando di prevedere il tempo di occorrenza. È quindi importante procedere a un periodico aggiornamento della previsione, con cadenza almeno annuale o semestrale, fino al prossimo evento. Gli sviluppi prossimi di questa ricerca comprendono l’applicazione ampia del metodo ad altri siti lungo faglie simili a quella di San Andreas, dove sono avvenuti terremoti ripetitivi di magnitudo significativa, prima di applicarlo con eventuali modifiche a situazioni più complesse come ad esempio le faglie dell’Appennino.

INGV. Inaugurato il Portale dei Dati Aperti per un accesso libero, pieno e tempestivo ai dati,realizzato il Portale dei Dati Aperti prodotti dall’INGV

ROMA – Il patrimonio dal valore inestimabile costituito dalle misurazioni, dai dati delle ricerche e delle relative elaborazioni, frutto del costante lavoro dei ricercatori, tecnologi e tecnici dell’INGV, considerato il più importante istituto di ricerca europeo per la geofisica, la vulcanologia e le geoscienze in generale, diventa oggi facilmente accessibile ed a disposizione di tutta la comunità scientifica e al pubblico.

La ricchezza dei contenuti del Portale lo rende uno strumento utile sia per il mondo scientifico che per tutta la comunità civile. Gli ingegneri, ad esempio, qui potranno reperire facilmente i riferimenti a ITACA, l’archivio che raccoglie le registrazioni strumentali dei più importanti terremoti avvenuti in Italia fin dal 1972, o accedere al Database della Pericolosità Sismica (MPS04) che contiene le stime su cui si basano le Norme Tecniche per le Costruzioni elaborate dal Ministero delle Infrastrutture; oppure, ancora ad esempio, gli storici che nel Portale avranno libero accesso ad informazioni e riferimenti documentali sui più grandi terremoti degli ultimi mille anni ed oltre (con i cataloghi CPTI15, ASMI e CFTI5med), sulle eruzioni dei vulcani italiani e sugli tsunami in area mediterranea (con i cataloghi EMTC e ITED) e, in generale, agli eventi catastrofici che hanno segnato l’evoluzione economica e sociale di intere regioni.

L’apertura del Portale dei Dati Aperti (https://data.ingv.it) è frutto di un lungo percorso iniziato nel 2015. In gergo informatico questo portale viene definito come ‘metadata catalog’ ed è lo strumento chiave attraverso il quale l’INGV promuoverà la condivisione del suo patrimonio conoscitivo.

Il Portale dei Dati Aperti dell’INGV è lo strumento principale promosso dalla Politica dei Dati istituzionale, i cui principi furono formalizzati nel febbraio 2016 anche grazie all’apporto dell’esperienza maturata nell’ambito di EPOS (European Plate Observing System), Infrastruttura di Ricerca europea (ERIC, European Research Infrastructure Consortium) coordinata dall’INGV.

La realizzazione del Portale nasce sui due cardini della Politica dei Dati:’istituzione del ‘Registro Dati’, uno strumento operativo per la catalogazione sistematica dei dati generati dalle molteplici ed articolate attività di ricerca e dalle reti di monitoraggio.

La costituzione dell’Ufficio Gestione Dati a novembre 2018, coordinato da Mario Locati della Sezione di Milano dell’INGV, col compito di realizzare e gestire il Registro Dati, la sua pubblicazione in un portale web e, successivamente, di avvalersi dello stesso per supportare le altre attività di gestione e pianificazione dell’Istituto.

Il Registro Dati contiene informazioni come: la copertura temporale e spaziale, la data di pubblicazione, la versione, il tipo di licenza per la sua fruizione e tutte le altre informazioni collegate ad esso (pubblicazioni scientifiche e relazioni con altri dati). Queste informazioni, definite “metadati”, sono consultabili e scaricabili nei formati standard più diffusi nella comunità scientifica internazionale. A tutela della qualità generale e degli utilizzatori finali, tutte le informazioni pubblicate seguono una validazione tecnico-scientifica. 

La ricerca di dati da parte degli utenti può essere svolta sfruttando tutti i metadati. In particolare, la ricerca può partire anche dal nome degli autori, una scelta progettuale che limita la “spersonalizzazione” dei dati, ovvero la rimozione del collegamento tra i risultati ottenuti dagli studi e le persone che li hanno condotte, riconoscendo ai ricercatori il loro fondamentale contributo. 

Ogni elemento presente nel Portale dei Dati Aperti è chiaramente associato a un identificativo univoco. L’importanza di questi identificativi è strettamente legata alla riproducibilità dei risultati ottenuti, che costituisce la base stessa del metodo scientifico. Tra i diversi fattori che contribuiscono alla riproducibilità di un risultato, un posto importante è infatti occupato dall’individuazione certa dei dati utilizzati, dalla loro qualità, attendibilità e affidabilità.

Inoltre, per rendere ancora più fruibili i contenuti del portale, è anche possibile una consultazione automatizzata tramite l’uso di API (Application Programming Interface), ovvero strumenti standardizzati che permettono a software esterni di inviare richieste e ricevere risposte codificate.

Con il Portale dei Dati Aperti si vuole inaugurare lo strumento informativo per la fruizione dei dati dell’INGV: un tassello finale di un processo lungo e articolato e, al contempo, il primo passo verso una maggiore e più efficiente condivisione con tutti dei risultati della Ricerca del nostro Istituto.

Link INGV utili:

Portale dei Dati Aperti (https://data.ingv.it)

Ufficio Gestione Dati (http://istituto.ingv.it/it/ufficio-gestione-dati)

Dalla Miniera alle Onde Gravitazionali:

Sos Enattos in Sardegna individuato come sito ideale per l’osservatorio ET

Lo straordinario silenzio sismico rende il sito nuorese particolarmente adatto ad ospitare l’osservatorio di onde gravitazionali ideato per lo studio dell’universo 

ROMA – Allo scopo di realizzare un osservatorio di onde gravitazionali di terza generazione, l’’Einstein Telescope – ET,  in grado di osservare i processi cosmici con sensibilità mai raggiunte finora, un team multidisciplinare, guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dell’Università degli Studi di Sassari, ha condotto uno studio sulla miniera metallifera ormai dismessa di Sos Enattos in Sardegna, grazie al supporto dell’IGEA S.p.A., società che ora la gestisce. Sos Enattos, che si trova immerso in un paesaggio di rara bellezza nella provincia di Nuoro a breve distanza dal Monte Albo, dichiarato dall’Unione Europea “sito di interesse comunitario” (SIC), è, infatti, il sito italiano candidato ad ospitare il nuovo osservatorio.

Lo studio multidisciplinare, a cui hanno partecipato ricercatori dell’INGV, dell’INFN, delle Università di Sassari, Padova, Sapienza di Roma, “Federico II” di Napoli, del Gran Sasso Science Institute (GSSI) e dell’European Gravitational Observatorydi Pisa, e che aveva l’obiettivo di caratterizzare sismologicamente il sito di Sos Enattos, ha dimostrato la sua piena idoneità ad ospitare ET.

I risultati dello studio “A Seismological Study of the Sos Enattos Area – the Sardinia Candidate Site for the Einstein Telescope” sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale Seismological Research Letters.

Einstein Telescope (ET) sarà uno strumento ad altissima sensibilità che contribuirà in modo decisivo a migliorare la nostra conoscenza dell’universo e dei processi fisici che lo governano. Per questo sarà in grado di svolgere un ruolo chiave a livello mondiale nell’attività di ricerca nel campo delle onde gravitazionali, dal punto di vista sia scientifico sia infrastrutturale.

Pertanto è considerato dalla comunità scientifica europea un progetto strategico ed è sostenuto da diversi Paesi tra cui l’Italia che lo scorso settembre, attraverso il Ministero dell’Università e della Ricerca, lo ha candidato per la prossima Roadmap 2021 di ESFRI European Strategy Forum on Research Infrastructure, il forum strategico europeo che individua quali saranno le future grandi infrastrutture di ricerca su cui investire a livello europeo.

Per operare al meglio delle sue potenzialità, l’osservatorio ET dovrà essere realizzato in un’area geologicamente stabile e scarsamente abitata: le vibrazioni del suolo (di origine sia artificiale che naturale) possono, infatti, mascherare il debole segnale generato dal passaggio di un’onda gravitazionale. I siti candidati ad ospitarlo sono due: la Sardegna con Sos Enattos, appunto, e il Limburgo – regione al confine tra Belgio, Germania ed Olanda.

Caratterizzare sismologicamente un sito”, spiega Carlo Giunchi, ricercatore dell’INGV “significa identificarne il rumore di fondo causato dalle vibrazioni naturali e dall’attività antropica. Abbiamo dunque installato, in collaborazione con l’INFN e l’Università di Sassari, alcuni sismometri presso la miniera di Sos Enattos per analizzare, fin nei valori minimi, l’ampiezza e la frequenza delle vibrazioni e comprenderne le sorgenti principali. Dalle registrazioni effettuate è emerso che ci troviamo in uno dei siti più silenziosi al mondo, caratteristica che lo rende particolarmente adatto per l’installazione del telescopio ET giacché esso solo in tali condizioni massimizza le sue capacità di rilevamento degli eventi cosmici. Inoltre, uno dei sensori installati è entrato a far parte della Rete Sismica Nazionale dell’INGV, che si arricchisce così di una stazione di misura di elevata qualità”.

Lo studio delle onde gravitazionali”, prosegue Luca Naticchioni, ricercatore dell’INFN, “è molto importante perché permette di far luce su fenomeni cosmici come la fusione di sistemi binari di buchi neri e di stelle di neutroni, fornendo informazioni preziose, tanto per la fisica fondamentale quanto per lo studio dell’evoluzione dell’universo. Questi fenomeni, che avvengono a distanze enormi, provocano perturbazioni nel “tessuto” dello spaziotempo che possono essere osservate da terra mediante interferometria laser con rilevatori estremamente sensibili e complessi. Lo studio del sito di Sos Enattos, candidato a ospitare ET, ha coinvolto enti con caratterizzazioni disciplinari differenti ma con interessanti complementarietà, come appunto l’INFN e l’INGV”.

Il passaggio successivo”, aggiunge Domenico D’Urso dell’Università di Sassari, “sarà quello di caratterizzare il sottosuolo del sito in oggetto perché il grande rivelatore di onde gravitazionali sarà costituito da un sistema di gallerie sotterranee disposte a triangolo che ospiteranno degli interferometri laser ad altissima precisione. Queste rilevazioni saranno necessarie per capire come mettere a punto il sistema di gallerie, individuando al contempo le sorgenti del rumore e minimizzare i relativi effetti”.

Prevediamo infine”, conclude Gilberto Saccorotti dell’INGV, “l’installazione di un grande numero di sismometri che, funzionando come un’antenna, permetteranno di misurare le direzioni di propagazione delle onde elastiche che costituiscono il rumore sismico, per comprendere al meglio i fenomeni che lo generano. La collaborazione posta in essere per questo studio ha prodotto una sinergia eccezionale fra i diversi Enti di Ricerca ed Università, fornendo basi solide per un progetto di ampio respiro e di lunga prospettiva quale ET, ed offrendo, tra l’altro, risultati di immediato utilizzo per il monitoraggio sismico attuato costantemente dall’INGV su tutto il territorio nazionale”.

I droni per lo studio di emissioni vulcaniche inaccessibili

ROMA – Un team internazionale guidato dall’University College London (UCL, UK), che ha visto la partecipazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) con il gruppo di ricerca di Vulcanologia del Dipartimento DiSTeM dell’Università di Palermo, ha sviluppato e utilizzato una nuova tecnologia basata sull’uso dei droni per la misura dei gas vulcanici emessi dai vulcani attivi, dimostrando così che anche nei vulcani inaccessibili e pericolosi come il Manam (in Papua Nuova Guinea), i droni rappresentano l’unico modo per realizzare importanti misure per caratterizzarne lo stato di attività in condizioni in sicurezza.  I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances dell’AAAS (American Association for the Advancement of Science).

Oggi, la tecnologia offre agli scienziati i mezzi per condurre ricerche che prima erano solo un sogno. Ciò che apparentemente era fuori portata nel corso degli anni ora è raggiungibile, come dimostrato nel nuovo progetto internazionale Aerial-based Observations of Volcanic Emissions (ABOVE).

Questo progetto ha utilizzato tecnologie innovative, cioè droni (Unmanned Aerial System – UAS) con a bordo apparecchiature miniaturizzate di campionamento, per raccogliere misure di gas vulcanici presso i vulcani di Manam e Rabaul in Papua Nuova Guinea. Questi sono dei forti emettitori di gas, ma poco si sa su di loro perché i pennacchi sono di difficile accesso usando tecniche terrestri, specialmente in caso di eruzioni.

ABOVE sta cambiando il modo in cui gli scienziati campionano le emissioni di gas vulcanici attraverso lo studio condotto nell’ambito del Deep Carbon Observatory, una comunità globale di scienziati impegnati in una ricerca decennale che punta a una migliore comprensione del ciclo naturale terreste del carbonio.

Sfruttando i recenti progressi nella tecnologia dei droni, gli UAS sono in grado di acquisire misurazioni aeree di gas vulcanici direttamente dai pennacchi. Questo progetto trascende i tradizionali confini disciplinari, riunendo scienziati, ingegneri e piloti per studiare alcuni dei vulcani più inaccessibili ma fortemente degassanti del mondo.

Nel mese di maggio del 2019, un team internazionale di scienziati ha intrapreso un’ambiziosa campagna di misure presso i due vulcani in Papua Nuova Guinea, entrambi tra i più prodigiosi emettitori di anidride solforosa sulla Terra e tuttavia privi di qualsiasi misurazione della quantità di carbonio emessa nell’atmosfera.

Il team comprende scienziati provenienti da Regno Unito, Italia, Stati Uniti, Papua Nuova Guinea, Svezia, Germania e Costa Rica. Il progetto unisce diversi gruppi che lavorano sulle misurazioni dei gas vulcanici tramite droni in tutto il mondo.

I gruppi hanno schierato vari tipi di drone (ad ala fissa, ala rotante e sistemi combinati) dotati di sensori di gas, spettrometri e dispositivi di campionamento per acquisire misurazioni vicino alle emissioni di anidride carbonica e altri gas. Le diverse metodiche sono state comparate per verificarne gli ambiti di impiego ottimale.

Il team italiano ha messo a disposizione la strumentazione geochimica sviluppata nei propri laboratori, per l’installazione a bordo di droni messi a punto da un team dell’Università di Bristol, sia ad ala fissa, più adeguati a voli su lunghe distanze e per fare misure di composizione attraversando i gas del plume, che ad ala rotante, più versatili per campionamento di gas in punti fissi. L’integrazione dei sistemi è stata effettuata in stretta collaborazione tra i due team. Già dalle fasi preliminari del progetto un drone ad ala rotante completo di sensoristica geochimica e altra strumentazione portatile, sono stati lasciati a disposizione dell’osservatorio vulcanologico di Papua Nuova Guinea, il Rabaul Volcanological Observatory.

Utilizzando nuovi sensori di gas e spettrometri miniaturizzati, e progettando innovativi dispositivi di campionamento attivabili in maniera automatica, i ricercatori sono stati in grado di far volare droni fino a 2 km di altezza e 6 km di distanza e di raggiungere le inaccessibili aree dove eseguire le misurazioni.

Infatti particolarmente impegnativa è stata la campagna sul vulcano Manam, che ha un diametro di 10 km e un’elevazione di 1800 m sul livello del mare, con gran parte delle zone sommitali totalmente inaccessibili. Si trova su un’isola a 13 km dalla costa nord-orientale della Papua Nuova Guinea.

Questo vulcano era noto da misure satellitari essere uno tra i maggiori emettitori di anidride solforosa (SO2) al mondo, ma prima di questo progetto non si sapeva nulla sulla sua produzione di CO2, molto più difficile da misurare da lontano a causa delle alte concentrazioni nell’atmosfera di background.

Infine, proprio il rapporto di abbondanza tra queste le specie CO2 e SO2 risulta essere fondamentale per determinare la probabilità del verificarsi di un’eruzione, perché correlata con la profondità nella quale il magma risiede, ed entrambe le specie sono state rilevate durante le campagne di misura.

STROMBOLI, MISURATA LA “MEMORIA” DEL VULCANO PER STIMARE LE PROBABILITÀ DI ERUZIONI ESPLOSIVE

Un approccio multidisciplinare ha permesso di stimare la probabilità del ripetersi
di esplosioni più intense dello Stromboli dopo che una di esse è avvenuta

ROMA – Stromboli, il “faro del Mediterraneo”, è un vulcano famoso per la sua attività esplosiva di bassa energia e persistente, nota proprio col nome di attività stromboliana.

Questa caratteristica è da sempre una forte attrazione per i visitatori e per i vulcanologi di tutto il mondo.


Tuttavia, occasionalmente – come recentemente avvenuto il 3 luglio e 28 agosto 2019 –
si verificano esplosioni più intense ed improvvise che possono rappresentare un grave pericolo, i cosiddetti “parossismi stromboliani”.

Già descritti dal geologo Giuseppe Mercalli all’inizio del secolo scorso, durante questi eventi sono coinvolti
simultaneamente più crateri e vengono eruttati volumi più elevati di materiali piroclastici.


L’obiettivo dello studio “Major explosions and paroxysms at Stromboli (Italy): a new historical catalog and temporal models of occurrence with uncertainty quantification”,
appena pubblicato sulla rivista ‘Scientific Reports’ di Nature, è stato stimare le frequenze di accadimento dei parossismi stromboliani e verificare se il vulcano avesse una sua
“memoria”, ovvero se era possibile individuare una ricorrenza statistica tra un’eruzione parossistica e la successiva.

Ha quindi cercato di rispondere alle domande “quanto sono
probabili questi fenomeni esplosivi più violenti?” e “quanto diventano più probabili dopo che uno di essi è avvenuto, e per quanto tempo?”


Per rispondere a queste domande, un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di
Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università di Bristol (UK) ha elaborato un nuovo catalogo nel quale vengono descritti 180 eventi esplosivi violenti di varia scala accaduti
a Stromboli dal 1879 al 2020.

In particolare, 36 dei 180 eventi esplosivi censiti sono
parossismi, analoghi a quelli dell’estate 2019. Per questo studio, i ricercatori hanno valutato in maniera critica eventi descritti in lavori scientifici del passato e informazioni riportate in testi storici e narrativi, determinando,
su basi oggettive ed omogenee, il tipo e l’intensità della attività esplosiva indipendentemente dall’enfasi dei racconti.


“Il nuovo catalogo che abbiamo messo a punto”, spiega Massimo Pompilio, primo
ricercatore dell’INGV e coautore dello studio, “ha permesso di rivedere la classificazione
di numerosi eventi attraverso l’analisi critica delle fonti storiche. Dall’analisi emerge che il
tasso annuale medio dei parossismi degli ultimi 140 anni è stato di 0.26 eventi/anno, ovvero un evento ogni 4 anni circa. Questo tasso è vicino a quello calcolato negli ultimi dieci anni, ma molto inferiore a quello raggiunto negli anni ’40 del secolo scorso, quando questi eventi parossistici erano assai più frequenti. Il vulcano alterna quindi periodi di attività intensa e periodi di relativa quiete”.

“Il breve lasso di tempo di 56 giorni osservatofra i due parossismi dell’estate 2019”, continua Massimo Pompilio, “non ѐ quindi una situazione rara.

Per ben cinque volte negli ultimi 140 anni ci sono stati tempi inter-evento ancora più brevi. Viceversa, ci sono stati quattro periodi senza parossismi lunghi dai 9 ai 15 anni, ed un intervallo senza gli stessi che si è protratto addirittura per 44 anni, dal 1959 al 2003”.


Queste informazioni sono anche utili in un contesto previsionale, ovvero per stimare le probabilità di accadimento futuro di questi fenomeni.

Andrea Bevilacqua, ricercatore INGV e primo autore dello studio spiega: “Quando un fenomeno, come un’esplosione vulcanica si verifica a intervalli irregolari nel tempo, quello
che si studia è la distribuzione dei ‘tempi di inter-evento, ossia dei tempi intercorsi in passato fra un’esplosione e quella successiva.

In particolare lo sviluppo dei modelli di interevento ci permette di calcolare la probabilità di accadimento di una esplosione in funzione del tempo trascorso dall’ultimo evento di quel tipo.

Una importante evidenza emersa dalla nostra ricerca riguarda la tendenza dei parossismi a verificarsi in gruppi.

Sempre sulla base dei dati degli ultimi 140 anni, abbiamo stimato che esiste il 50% di probabilità che un parossisma si verifichi entro dodici mesi dal precedente e il 20% di probabilità che lo segua in meno di due mesi; d’altro canto esiste anche un 10% di probabilità che trascorrano oltre
dieci anni senza che si verifichino altri parossismi”.


Una “memoria” del vulcano del tutto simile, seppur con stime di accadimento diverse, emerge considerando, insieme ai parossismi, anche le cosiddette “esplosioni maggiori”,
esplosioni più frequenti dei parossismi ma dotate di minor energia e pericolosità.


“Questo studio ha mostrato come, in termini di occorrenza dei fenomeni esplosivi più violenti dell’ordinario, lo Stromboli stia attraversando, negli ultimi anni, una delle fasi di attività più intense della sua storia recente”, conclude Augusto Neri, Direttore del Dipartimento Vulcani dell’INGV e coautore dello studio.

“La stima della ‘memoria dell’attività esplosiva più intensa dello Stromboli potrà dare un significativo contributo
alla quantificazione della pericolosità di questi fenomeni e, di conseguenza, alla riduzione del rischio associato.

Inoltre, l’analisi dei dati suggerisce l’esistenza di un processo fisico che in qualche misura influenza la frequenza delle esplosioni del vulcano rendendole eventi
eruttivi non completamente casuali.

Capire le ragioni e i meccanismi fisici che determinano
questa memoria rappresenta un’ulteriore sfida scientifica”.
La ricerca pubblicata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile

El Salvador, scoperta la vera data della misteriosa e colossale eruzione della Tierra Blanca Joven che sconvolse la civiltà Maya – Un approccio multidisciplinare ha consentito di identificare per la prima volta la data esatta della violenta eruzione che nel V secolo d.C. sconvolse la regione Centroamericana

Un team internazionale di ricercatori, cui ha preso parte l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha individuato nel 431 d.C., con un margine di incertezza di circa due anni, la data esatta dell’eruzione della caldera vulcanica Ilopango, detta della Tierra Blanca Joven, nello Stato centroamericano di El Salvador.


L’obiettivo della ricerca era datare definitivamente l’eruzione chiarendo gli impatti che questo evento ebbe nella regione, sia sul clima e l’ambiente che sulla vita dell’uomo, facendo quindi un ulteriore passo in avanti rispetto agli studi precedenti.


La violenta eruzione, che si conosceva fosse avvenuta nel periodo compreso tra il 300 e il 600, ricoprì con uno spesso strato di cenere bianca e detriti (in parte ancora visibili) vaste aree di El Salvador, tra cui siti risalenti al cosiddetto “periodo classico” della antica civiltà Maya, rendendo inabitabile per decenni un’area nel raggio di 80 km dal vulcano.


Inoltre, alcune evidenze archeologiche indicano che, intorno alla data del 431 d.C.,in El Salvador si verificò un’improvvisa interruzione della produzione delle ceramiche Maya, inattività quindi compatibile con il catastrofico evento naturale che colpì la zona.


Grazie a competenze multidisciplinari messe in campo dal gruppo proveniente da 12 Istituti di ricerca (tra cui l’Università di Oxford e l’UNAM, Università Nazionale Autonoma del Messico), gli autori dello studio ‘The magnitude and impact of the 431 CE Tierra Blanca Joven eruption of Ilopango, El Salvador’, appena pubblicato sulla rivista scientifica
Proceedings of the National Academy of Sciences (USA), hanno combinato dati geologici e archeologici provenienti dall’America centrale con le analisi chimiche di carote di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartico.
“Per datare eventi eruttivi del passato per i quali non si hanno informazioni scritte”, spiega Antonio Costa, Direttore della Sezione di Bologna dell’INGV e co-autore dello studio, “si utilizza principalmente un metodo basato sull’analisi del decadimento del carbonio-14 nei frammenti organici inglobati dalla miscela eruttiva.

Talvolta, come in questo caso, questo metodo non è sufficientemente accurato poiché la datazione tramite il decadimento del carbonio-14 deve essere calibrata. Il set di dati di calibrazione non è ben strutturato intorno
al momento dell’eruzione e consente di individuare un arco temporale ampio ma non una data precisa. L’aspetto innovativo e determinante in questo lavoro, quindi, è stato senza dubbio l’approccio multidisciplinare che ci ha permesso di incrociare dati provenienti da discipline anche molto diverse tra loro per ‘triangolare’ la data che stavamo cercando da tempo”.